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2001 Odissea nello spazio (Recensione di Chiara Falaschetti)


Alle origini dell’uomo, quando le scimmie erano ancora scimmie, un misterioso monolito compare sulla Terra. La sua presenza attiva l’intelligenza dei primati che comprendono l’uso delle ossa degli animali uccisi quali prolungamenti delle loro braccia. 2001. Sulla Luna, in prossimità del cratere Tyco, è stato trovato un monolito la cui esistenza viene tenuta sotto il massimo segreto. Il monolito improvvisamente lancia un segnale indirizzato verso il pianeta Giove. Diciotto mesi dopo l’astronave Discovery si dirige verso il pianeta. A bordo si trovano due astronauti, Frank e David, tre ricercatori ibernati e il computer della nuova generazione, HAL 9000, in grado di controllare il funzionameto di tutta l’astronave, nonché di dialogare con gli astronauti. L’infallibile computer segnala un guasto in uno degli elementi esterni dell’astronave ma il pezzo, sottoposto a numerosi test, risulta essere in ottime condizioni di funzionamento. I due astronauti debbono arrendersi al fatto che HAL ha sbagliato e decidono di disattivarlo. Hal fa allora in modo che il pezzo venga rimesso al suo posto e trancia il tubo dell’ossigeno di Frank. Quando David, uscito per recuperare il cadavere del compagno, tenta di rientrare il computer glielo impedisce. L’astronauta distrugge la memoria del computer, apprende il vero scopo della missione (raggiungere Giove per scoprire il mistero del monolito) e arriva sul pianeta su cui morirà per rinascere a nuova vita. (MyMovies)

Innanzitutto, l’approccio con questo film non deve essere quello con un comune film di fantascienza.Guardarlo fa cambiare l’opinione e la visione che si ha del cinema e della sua storia.
E’ un film che non parla di qualcosa nello specifico, ma di tutto: è un film sulla vita, sulla morte, sull’umanità, sulla storia, sull’universo.
Kubrick affronta, in un susseguirsi di splendide immagini e di musiche memorabili, tutti questi temi. E’ un film impossibile da capire ad una prima visione. Ci sono moltissime interpretazioni: sono tutte vere? Sono tutte sbagliate? Lo stesso Kubrick ha detto:« Ognuno è libero di speculare a suo gusto sul significato filosofico del film, io ho tentato di rappresentare un’esperienza visiva, che aggiri la comprensione per penetrare con il suo contenuto emotivo direttamente nell’inconscio. »
Il film è sicuramente lento, ma il dilungarsi in alcuni punti è adatto al contesto: il vuoto siderale, l’uomo nel cosmo. Ogni scena concede allo spettatore il tempo utile per elaborare un pensiero personale su tutto quello che accade nel film. Ed ispira riflessioni profonde dall’inizio alla fine della sua durata (e anche per molto tempo dopo). Chi siamo? Chi ci ha creati? Come mai noi essere umani siamo così ‘speciali’? E se lo fossimo perchè ‘qualcuno’ o ‘qualcosa’ (rappresentato dal monolito) lo ha voluto? Noi possiamo creare HAL. HAL pensa? E se provasse vere emozioni? Insomma è un film che ti scuote dentro e ti lascia a bocca aperta per la sua magnificenza.
Da godere, da ammirare, da assaporare. Non da capire, è impossibile.

Full Metal Jacket


Nel campo di Parris Island diciassette reclute vengono addestrate dall’autoritario sergente Hartman (Lee Ermey) a diventare veri marine, “non dei robot, ma dei killer”: uno di loro, Pyle (Vincent D’Onofrio) non regge e uccide l’istruttore prima di suicidarsi, gli altri vengono mandati in Vietnam dove scopriranno le atrocità della guerra, ma alla fine impareranno a “non avere paura”.
Un altro capolavoro di Kubrick, tratto dal romanzo omonimo di Gustav Hasford (anche sceneggiatore con Michael Herr e il regista), astratta e agghiacciante rappresentazione di “quella violenza istituzionale che la collettività (Stato, Potere o popoli che siano) delega ai militari” [Enrico Ghezzi]: verbale e psicologica quella dell’istruzione, metafisica e cruenta quella della guerra. Diviso in due parti distinte – l’addestramento e la guerra – il film riassume nella schizofrenia del militare Joker (Matthew Modine), che sull’elmetto ha scritto “Born to Kill” accanto al simbolo della pace, la contraddizione di una visione del mondo che non riesce a conciliare le “dualità dell’uomo”. Girato con uno stile freddo e oggettivo fatto di carrellate rettilinee e inquadrature controllatissime che si adattano perfettamente alla meticolosità ossessiva dell’organizzazione militare, Full Metal Jacket ha lo spessore di una tragedia assoluta, dove la lacerante contraddizione fra ansia di vita e pratica di morte si traduce nel film nel continuo contrappunto fra partecipazione e stracciamento (e giustifica così il ricorso costante a un umorismo greve e osceno, necessario ai militari per mantenere il loro equilibrio di fronte alla paura e alla morte). Esemplare l’episodio del cecchino vite, dove Kubrick sollecita l’identificazione con i soldati americani bersagliati per poi gelare il sangue con la scoperta di una realtà inaspettata che ribalta il punto di vista. Il sergente Lee Ermey è un autentico istruttore dei marine.