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Natale con Woody!!!


Quest’anno il nostro Woody ha ricevuto un gran bel regalo in anticipo. Dopo aver raggiunto la quota di 55 milioni di dollari in patria (mai successo per un suo film) in Italia ha incassato ben 2.203.671,52 euro in 72 ore. Sono stati circa 400.000 gli italiani accorsi in sala a vedere l’ultimo lavoro dell’eccentrico regista “Midnight in Paris” (la nostra recensione qui) invece il film di Fabio Volo “Il giorno in più” da lui sceneggiato ed interpretato che era dato per favorito, considerato il boom del romanzo nelle librerie italiane, ha incassato solamente 1.442.634 €

Facciamo due conti:

Incassi riferiti al week-end di venerdì 2 dicembre 2011

  Midnight in Paris : € 2.203.671,52

Il giorno in più: € 1.442.634

Anche se è amore non si vede (di Salvatore Ficarra, Valentino Picone): € 1.196.774

Urge quindi una riflessione: Cosa è successo, come mai Woody Allen, da regista quasi di nicchia ha riscosso cosi tanta popolarità e infine secondo voi, può Midnight in Paris segnare non la fine ma l’inizio di un cambiamento, intendo qualitativo,  nelle proposte cinematografiche natalizie?

“Midnight in Paris”, di Woody Allen (2011)


Gil, mediocre sceneggiatore hollywoodiano con aspirazioni da scrittore, va in vacanza a Parigi, assieme alla promessa sposa Inez e ai genitori di lei, nella speranza di trovare l’ispirazione giusta per il suo primo romanzo. Da sempre innamorato della capitale francese e di quel crogiolo di culture e arti che è stata in particolare negli Anni ’20, finisce col soffrire l’invadenza dei suoi futuri suoceri e di una coppia di amici della sua compagna incontrati per caso al ristorante. Nel tentativo di evadere da una situazione che, lungi dal mostrare gli attesi effetti ispiratori, si sta rivelando sempre più opprimente, allo scoccar della mezzanotte si ritrova sorprendentemente catapultato nel mondo dei suoi sogni, nella Ville Lumiêre della seconda decade del XX° Secolo, a diretto contatto con i suoi miti di sempre.

Ha l’occasione di conoscere di persona e di colloquiare amichevolmente con personaggi del calibro di F. S. Fitzgerald e consorte, E. Hemingway, Cole Porter, T. S. Eliot, P. Picasso, L. Buñuel, Man Ray, Gertrude Stein e Salvador Dalí (queste ultime le due caratterizzazioni migliori, rese rispettivamente da Kathy Bates e Adrien Brody), di far leggere loro le pagine del suo romanzo ed ottenere preziosi suggerimenti sulla scrittura e sul ruolo di un artista.

E incontra pure Adriana (la sempre bella Marion Cotillard), giovane e affascinante donna, giunta a Parigi con Coco Chanel per studiare haute couture e poi divenuta amante di Modigliani, Braque, Picasso ed Hemingway. Tra i due nasce qualcosa, la relazione di Gil con Inez viene messa in forte discussione, scoccano “scintille”.

Comincia con un omaggio mozzafiato a Parigi il nuovo film “europeo” di Woody Allen, tre minuti di titoli iniziali in stile “Manhattan”, un montaggio di angolazioni e viste parigine che non fanno fatica a diventare uno spot turistico dei più convincenti. E’ vero amore, ma lo si sapeva già. E poi… E poi un saggio miscuglio di cultura, politica, sentimento, storia e psicologia, shakerato con maestria e servito con invidiabile leggerezza, tanto che il tempo sulla poltrona sembra passare troppo in fretta e si avrebbe il forte desiderio che le immagini non si fermassero più. Seguendo Gil si entra in un sogno che tutti vorrebbero vivere, e che ogni spettatore di fatto vive grazie alla magia del Cinema.

Il tema è sviluppato intorno al principio della negazione del presente, avvertito questo come insoddisfacente e inferiore rispetto a un’età d’oro collocata nel passato e nella quale si avrebbe voluto avere la fortuna di vivere. Gil insegue da sempre il suo personale mito della Parigi degli Anni ’20, capitale mondiale del rinnovamento artistico, e persino il protagonista del romanzo che sta scrivendo lavora in un “negozio della nostalgia”, un posto dove si vendono oggetti vintage atti ad alimentare i sogni dei “negazionisti” di cui sopra. E’ innamorato di Inez (e chi non lo sarebbe della bellissima Rachel McAdams, che poi in jeans nelle inquadrature di spalla toglie letteralmente il fiato!), ma non riesce a vivere in pienezza il suo momento rifugiandosi continuamente in un mondo che non esiste più. L’incontro con Adriana, “groupie” ante litteram a sua volta affascinata dalla Belle Epoque parigina di fine ‘800, lo aiuterà ad approfondire il tema della propria insoddisfazione ed a trovare delle risposte.

Sorprende la leggerezza dell’opera, l’immediatezza del messaggio di Allen, stavolta meno cinico e sarcastico rispetto al suo standard, e forse anche meno divertente del solito, ma veramente lieve come una piuma, gradevole, affascinante. Il suo alter ego è affidato al buon Owen Wilson, simpatico e convincente quanto basta, e il resto ad uno stuolo di indubbie bellezze (dicevamo della McAdams e della Cotillard, sul versante femminile,  ma ci sono anche Carla Bruni e Léa Seydoux!) e di eccellenti caratteristi, oltre che al fascino naturale di una città magica di per sé come Parigi, splendidamente fotografata di giorno come in notturna da Darius Khondji. E c’è la musica, quella in particolare di Cole Porter, indimenticabile.

Il suggerimento non può che essere uno solo: correte a vederlo, al cinema!!! Voto: 8,5.

Nemico Pubblico


Chicago, 1933. La banda di John Dillinger (Johnny Depp) rapina banche dando del filo da torcere all’FBI guidata da J.Edgar Hoover (Billy Crudup). Per eliminarlo, l’agente Melvin Purvis (Christian Bale)  ricorrerà a intercettazioni telefoniche e a violenti metodi di interrogatorio, di cui sarà vittima anche Billie Frechette (Marion Cotillard), fidanzata di Dillinger, mentre il gangster verrà ucciso in un agguato all’uscita del cinema Biograph, dove si era recato a vedere Le Due Strade.
Recuperando informazioni e dettagli dal libro Public Enemies: America’s Greatest Crime Wave and the Birth of the FBI di Bryan Burrough, Mann (anche sceneggiatore con Ronan Bennett e Ann Biderman) elabora gli stereotipi del genere gangsteristico a modo suo. Ossessionato come sempre dalla verosimiglianza, sceglie quando possibile i luoghi reali degli eventi; e osserva un antieroe attraverso la proliferazione mediatica del suo mito e il bisogno irrimediabile d’amore. Come sempre nel suo cinema, il destino dell’uomo è già scritto e da lui stesso inseguito per mantenere fede a un’etica professionale (quand’anche illegale): non ci sono veri buoni o cattivi, ma soltanto uomini e donne che vivono fino in fondo il loro ruolo, anche a costo di pagarlo salatissimo (Purvis si sarebbe suicidato nel 1960).

Ritmo instancabile, cast impressionante per quantità e bravura, fotografia in digitale HD di Dante Spinotti che raggiunge una profondità di campo mai vista, musica di Elliott Goldenthal (con brani di Otis Taylor, Billie Holiday e Benny Goodman), almeno quattro scene da antologia (l’attesa al semaforo, la sparatoria notturna allo chalet, la visita da “fantasma” di Dillinger nella stazione di polizia e l’imboscata al Biograph in ralenti): un blockbuster unico e personale, che richiede impegno allo spettatore per i numerosi personaggi e per lo stile ellittico e mai facile di Mann. Tra i produttori esecutivi c’è Robert De Niro.

Spoiler —- Come in Heat – La Sfida, i due rivali a distanza s’incontrano faccia a faccia solo una volta, prima della fine.

Inception


Dom Cobb (Leonardo Di Caprio) è pagato da potenti uomini d’affari per entrare nei sogni altrui e rubare segreti. Al soldo di Saito (Ken Watanabe), deve fare però qualcosa di diverso: entrare  nei sogni di Robert Fisher jr (CIllian Murphy), erede di una multinazionale dell’energia, e “innnestargli” un’idea che lo porti a smantellare il proprio impero. La sua fidata squadra (il braccio destro Arthur [Joseph Gordon-Levitt], la studentessa di architettura Arianna [Ellen Page], il falsario Eames [Tom Hardy] e il chimico Yusuf [Dileep Rao], lo segue dentro un sogno a più strati, dove bisogna lottare con le difese prodotte dalla mente di Fischer. Ma dall’inconscio di Dom emerge la presenza imprevedibile di Mal (Maruib Cotilard) , sua moglie defunta, che rischia di mandare a monte tutta la missione.
Pare che Nolan abbia impiegato dieci anni per scrivere una sceneggiatura di rara complicazione, e si fatica a entrare dentro un mondo a più livelli, dove il concetto di “realtà” è ovviamente sempre messo in dubbio,, e ogni personaggio potrebbe essere solo una proiezione. L’ambizione è quella di costruire una pietra miliare dell’immaginario cinematografico del nuovo millennio, ma anche se i rimandi sono abbastanza ovvi (da 2001 Odissea Nello Spazio, da L’anno Scorso a Marienbad agli universi paralleli di Philip K.Dick), manca la capacità di creare nuove mitologie. Il fascino visivo comunque non manca (le architetture alla Escher, le esplosioni silenziose, un quartiere di Parigi che si chiude su se stesso come una scatola), anche se non tutti i segmenti, corrispondenti a vari generi cinematografici, sono ugualmente riusciti. La parte più originale e coinvolgente è quella relativa al rapporto di Cobb con la moglie e al suo senso di colpa, che riesce a diventare una riflessione sull’amore, sui sacrifici che esige e su come esso trovi fondamento nelle nostre proiezioni. Il titolo (alla lettera “inizio”, ma nel film italiano è tradotto come “innesto”) si riferisce all’incarico ricevuto da Cobb, ma anche al fatto che è impossibile stabilire quando cominci un sogno.