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Percy Jackson E gli Dei dell’Olimpo – Il Ladro di Fulmini


Semidio inconsapevole, frutto dell’atavico vizietto degli déi di flirtare con le mortali, il giovane dislessico Percy Jackson (Logan Lerman) scopre di essere figlio di Poseidone (Kevin McKidd) e di possedere straordinari poteri acquatici, ma una Furia lo accusa di avere rubato la folgore di Zeus (Sean Bean). Protetto e addestrato dal centauro Chirone (Pierce Brosnan), cercherà di scoprire il vero responsabile e ripercorrerà tappe mitologiche cruciali, come la battaglia con Medusa (Uma Thurman) o con l’Idra dalle sette teste, prima di incontrare il suo divino padre.
Scritto da Graig Titley adattando il primo libro omonimo della serie creata da Rick Riordan, un solido e divertente action movie vecchia maniera. Paga un ovvio tributo al fantasy di formazione stile Harry Potter, ma usa i copiosi effetti digitali per ricreare l’atmosfera rétro delle animazioni in stop-motion di Ray Harryhausen, più che inseguire la modernità. Impreziosito da un cast funzionale in cui spicca la divertita Uma con chioma serpentina. Tiepido il successo di pubblico globale, che ha bloccato i propositi iniziali di realizzarne dei seguiti.

Pelham 123 – Ostaggi in Metropolitana


“Tutti dobbiamo una morte a Dio”

(Bernard Ryder/John Travolta)

Declassato per illecito a smistare treni in una stazione della metropolitana di New York, l’ex dirigente in attesa di giudizio Walter Garber (Denzel Washington) diventa suo malgrado negoziatore ideale del misterioso e determinato Bernard Ryder (John Travolta), che tiene in ostaggio diciotto persone sul locomotore di un treno partito da Pelham e minaccia di ucciderle tutte se entro un’ora non avrà dal sindaco (James Gandolfini)  dieci milioni di dollari.
La bella sceneggiatura di Brian Helgeland adatta liberamente, e aggiornandolo tecnologicamente ai tempi, il romanzo omonimo scritto da Morton Freedgood con lo pseudonimo di John Godey, e già portato sullo schermo col titolo Il colpo della Metropolitana nel 1974 e nel 1998. Usa lo spazio buio dei tunnel della subway per tornare a riflettere in metafora sulle ferite ancora aperte della New York post 11: la crisi economica che spinge alla follia, il relativismo dei concetti di giusto e sbagliato, le colpe dei politici, il clima di paranoia collettiva. La prima parte, concentrata sul duello verbale tra i due protagonisti, è ad alta tensione e lo stile rende un notevole senso di claustrofobia; l’epilogo, più canonicamente spettacolare e en plein air, funziona meno. Ma Washington è esemplarmente hollywoodiano nel rendere l’impotenza del suo antieroe, e Travolta esprime una sofferenza psicologica e fisica straordinaria, purtroppo dettata anche da drammi personali: il figlio malato è morto (a causa dei consigli sbagliati della chiesa di Scientology di cui era adepto) durante la lavorazione del film.

Batman Begins


Il giovane Bruce Wayne (Christian Bale) torna a Gotham City dopo un lungo addestramento in giro per il mondo e, con molte difficoltà, inizia la sua vita da eroe. Dopo aver superato lo choc di aver visto uccidere i suoi genitori, il futuro Batman brucia di vendetta.

Nolan interrompe la continuità narrativa delle ultime peripezie di Batman, reinventando la mitologia dell’Uomo Pipistrello. La sceneggiatura (del regista e di David S. Goyer) torna alla giovinezza del supereroe recuperando due periodi importanti delle sue avventure a fumetti: il 1971-1972, in cui Denny O’Neil (testi) e Neal Adams (disegni) crearono il personaggio di Ra’s al Ghul; e il 1988, con la miniserie Batman – Year One, in cui Frank Miller (testi) e David Mazzucchelli (disegni) ne rilessero il debutto. L’originalità della pellicola è tutta nella prima parte, sorta di “romanzo di formazione” che – attraverso ili senso di colpa “connaturato” alla cultura americana, che in nome della propria opulenza si sente in debito dei meno fortunati. Mentre il ritorno a Gotham si confronta con il tema più “politico” del diritto/dovere alla vendetta come atto di giustizia (ma qui, più che l’ennesima “rilettura” dell’11/09, sembra di ascoltare un dialogo a distanza con Lucas e il suo lord Fener, di cui ribalta le riflessioni sul ruolo della “Forza” sottolineando l’inevitabile commistione di Bene e Male che alberga in ognuno). Ne esce un film singolarmente cupo, notturno, forse non molto inventivo sul piano figurativo ma piuttosto efficace su quello narrativo; con le “inevitabili” concessioni alla mitologia del genere (l’armamentario alla James Bond, i combattimenti alla orientale, l’inseguimento con la Bat-mobile) ma anche con un cast piuttosto indovinato (Caine nella parte del fido maggiordomo Alfred, Freeman in quella dell’inventore Lucius Fox, Gary Oldman in quella del poliziotto fidato).

Sherlock Holmes (da Marianna D’Apolito LovesRdj)


Fine Ottocento,Londra Vittoriana-221B, Baker Street . Tra riti esoterici, corse contro il tempo e mirabolanti salvataggi; ritorna sul grande schermo, firmato Guy Ritchie, il più famoso detective della letteratura inglese: Sherlock Holmes. Questa volta a vestire i panni del cinico investigatore e del suo assistente/amico, il dottor John Watson, abbiamo Robert Downey,Jr. e Jude Law.
Per gli appassionati dei romanzi di Sir Arthur Conan Doyle (ndr. sofferente per una sorta di sviscerato amore/odio nei confronti della sua creazione più famosa) non mancano i punti sui quali discutere: il film non rispetta del tutto i canoni “Holmesiani”, ma è reso noto che, esso, è senza dubbio, la miglior pellicola ispirata a questo straordinario personaggio letterario. Gran parte del merito ricade su Downey ,Jr. che con il suo straordinario talento,le sue abilità nel Winch Kung Fu-altra caratteristica infusa al personaggio-, e la capacità di rendere suo ogni film sul quale “mette mano”, fa-amabilmente- dimenticare allo spettatore quanto egli non rispecchi le sembianze fisiche di Holmes, impose nei romanzi di Doyle; particolare che i precedenti film hanno rispettato ricavandone ben poco successo. Per fare da spalla all’investigatore, Jude Law, imprime al suo dottor Watson quella carica e quel dinamismo per le quali il suo personaggio non è mai stato così noto. Un mix vincente, dove per secondi ,a parlare, sono gli incassi.
Questa volta a fare da nemesi abbiamo Lord Blackwood, il quale viene consegnato a Scotland Yard e all’ispettore Lestrade per mano di Holmes e Watson, successivamente giustiziato alla forca, davanti agli occhi del dottore, egli ritornerà dall’oltretomba suscitando l’interesse del detective che si ritroverà ad affrontare una nuova –interessante- avventura. Vediamo poi apparire in scena la conturbante Irene Adler,donna capace di dar del filo da torcere anche ad una mente superiore come quella di Sherlock Holmes; e a Mary Morstan: futura moglie di Watson, che sembra quasi suscitare in Holmes gelosie e risentimenti. Tra un susseguirsi di strabilianti intuizioni-letteralmente “Holmesiane” ,trepidazione, morti reali e apparenti, “ritorni in scena” e sotterfugi, si spiana la strada ad un finale leggero, che lascia ben intendere l’intenzione di non voler essere un ‘addio’ (nda. Mancano meno di due mesi all’uscita del sequel nelle sale di mezzo mondo e già è stato confermato un terzo capitolo).
Questo terreno fertile sul quale si sviluppano le avventure di Sherlock Holmes e John Watson è ritratto in un film ben realizzato, piacevole, sagace, curato nei minimi dettagli dalla mano del regista,e dal ritmo incalzante. Manca –forse- una spuntone di arditezza, il tutto però compensato dal grande consenso del pubblico e dalle imbeccabili performance del cast.

Secondo al box office Statunitense nel 2009 (primo ‘’AVATAR’’), si guadagna due candidature agli Oscar, e due ai Golden Globe: una delle quali viene vinta da Robert Downey ,Jr. nella categoria ‘Miglior Attore protagonista in una commedia’.

Per citare una frase del nostro amato detective:”Se non si dispone di nessun elemento è un errore enorme teorizzare a vuoto.”
Quindi fidatevi di Holmes -se non avete ancora visto il film,non potete giudicare- e godetevi questa bella,fresca e coinvolgente pellicola. Io ve la consiglio vivamente.

Grindhouse – A Prova di Morte


« Ehi, Pam, ti ricordi quando ho detto che la macchina era a prova di morte? Non dicevo una bugia… questa macchina è al cento per cento a prova di morte, ma per godere di questo vantaggio, tesoro, tu dovresti essere seduta esattamente dove sono io! »
(Stuntman Mike/Kurt Russell – dai dialoghi del film)

“Stuntman” Mike (Kurt Russell) incrocia in un bar le tre amiche “Jungle” Julia (Tamiia Poitier), Arlene (Vanessa Ferlito) e Shanna (Jordan Ladd), decise a passare una vacanza da sole. Dopo aver accolto in macchina l’autostoppista Pam (Rose McGowan), si lancia sulle tracce delle tre ragazze, deciso a verificare la loro resistenza agli incidenti automobilistici frontali. Qualche tempo dopo prova a ripertersi con Abernathy (Rosario Dawson), Zoe (Zoe Bell, una vera stunt-woman, che in Kill Bill faceva la controfigura di Uma Thurman) e Kim (Tracie Thoms) che girano allegre in auto per la campagna. Ma avrà più di una sorpresa.
Uscito come film autonomo e con una sequenza in più (la lapdance della Ferlito, al posto della quale per gli spettatori americani compariva un cartello con la scritta “missing reel”, ovvero “rullo mancante”), è il secondo episodio (con Planet Terror di Robert Rodriguez e un intermezzo di falsi trailer) dell’originale Grindhouse, distribuito nella versione di 191′ solo negli USA e in Francia. Il titolo indica il termine gergali per i locali di ultima visione dove negli anni Settanta si vedevano due film, spesso di serie Z, con un biglietto solo. Tarantino (anche sceneggiatore e direttore della fotografia) ricrea con interventi digitali il look delle pellicole in condizioni tecniche impresentabili che circolavano in quelle sale: graffi, sfocature, salti di quadro, tagli ecc. Il gioco di citazioni infinito: Telefon, Umberto Lenzi, Fernando di Leo, Dario Argento, Convoy – Trincea d’Asfalto, Bullitt, Gli Amanti del Chiaro di Luna, Zatoichi) e di rimandi (la Dodge Charger del 1969 gialla a bande nere di Stuntman Mike viene da Zozza Mary Pazzo Gary, la Chevy Nova Mustang del 1970 bianca di Abernathy, Zoe e Kim è quella di Punto Zero).
Eli Roth è Dov. Colonna sonora al solito ricchissima con brani di The Coasters, Eddie Floyd, Willy deVille e la riscoperta di “Hold Tight” di Dave Dee, Dozy, Beaky, Mick & Tich. I film annunciati dai falsi trailer tra un episodio e l’altro dell’edizione originale (in Italia si vede solo l’ultimo, prima di Planet Terror) sono: Werewolf Women of the SS ( di Rob Zombie, con Nicolas Cage e Udo Kier), Thanksgiving (di Eli Roth, con Michael Biehn), Don’t (di Edgar Wright con Nick Frost, Simon Pegg) e Machete (di Robert Rodriguez, con Danny Trejo). Negli USA un sonoro flop, in Italia un successo moderato.