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Sanjuro


Un astuto samurai, Sanjuro (Toshiro Mifune), cerca di moderare e guidare nove giovani congiurati che vogliono instaurare un nuovo governo nel loro piccolo stato feudale.
Un film scritto per Horikawa e solo in ultimo affidato al regista di La Sfida del Samurai, che riprende il personaggio di Sanjuro, portandone a termine la demitizzazione con il senso dell’umorismo e la forza dell’ironia. La messinscena e la stilizzazione della violenza sono giapponesi; ma il ritmo, e anche il personaggio di Mifune, ruvido e generoso, hanno qualcosa di fordiano.

Ran


Il monarca Hidetora Ichimonji (Tatsuya Nakadai) spartisce prima del tempo il suo regno fra tre figli, che si combattono l’un l’altro e che lo scacciano e vilipendono: vagando per la brughiera in compagnia del fido buffone, diventa pazzo.
Ispirato al Re Lear di Shakespeare, di cui offre un’interpretazione alla luce della cultura giapponese e del teatro Nō, Ran è un film dal fascino inebriante, caotico (il titolo originale significa appunto “caos”), smisurato, allucinante e commovente come lo sono i sogni, tanto più se collettivi e quindi epici. Grandi quadri in perenne movimento, colori sgargianti, scene di battaglia tra le più belle mai realizzate sullo schermo: “un Lear per i nostri tempi e per tutti quelli a venire” ha detto un critico inglese (ed è noto quanto gli inglesi amino Shakespeare). È il primo film per il quale Kurosawa ha potuto disporre di tutto il tempo e il denaro necessari. Sceneggiatura del regista e di Hideo Oguni e Masato Hara.

Kill Bill – Vol. 2


« Ho ucciso tante persone per arrivare fin qui. Ma ne devo uccidere ancora una. L’ultima. Quella da cui sto andando ora: la sola rimasta in vita. E quando sarò arrivata a destinazione, io ucciderò BILL. »
(La Sposa nei titoli di testa)

Black Mamba (Uma Thurman), ribattezzata “La Sposa”/Beatrix Kido, uccide Budd (Michael Madsen), il fratello di Bill (David Carradine), e deve uccidere anche la spietata Elle Driver (Daryl Hannah). Ma quando, per completare la sua vendetta arriva a Bill, troverà un’inaspettata sorpresa.
Il secondo capitolo è molto diverso dal primo: rallentato, fittamente dialogato, con l’ambizione di fare con la mitologia del noir ciò che Leone aveva fatto col western. Ma il dialogo più brillante (quello sulla vera natura di Superman) è preso da Jules Feiffer: e Tarantino continua a giocare con i generi e le citazioni.
Liu è Johnny Mo nel primo episodio e il maestro Pai Mei nel secondo.
Parks, lo sceriffo McGraw, qui è anche Esteban.

Kill Bill – Vol. 1


« La vendetta è un piatto da servire freddo. »
(Vecchio proverbio Klingon)

L’ex componente di una squadra di killer nota come Black Mamba (Uma Thurman) esce da quattro anni di coma e si vendica degli ex colleghi che  – su ordine di Bill (David Carradine), suo  ex amante e boss – hanno fatto una strage il giorno delle sue nozze. Le prime della lista sono Vernita Green (Viviva A. Fox), diventata una madre di famiglia, e O-Ren Ishii (Lucy Lui), ora boss della mala di Tokyo.
Il ritorno di Tarantino dopo sei anni è stato spezzato in due parti. Nella prima, il regista-sceneggiatore rinuncia quasi per intero ai dialoghi che dei suoi film erano il punto di forza, e costruisce un canovaccio sul classico tema della vendetta: un pretesto per accumulare una serie infinita di citazioni tra Oriente e Occidente (Shaw Brothers e kung fu hongkonghese, yakuza e samurai giapponesi, spaghetti western, blaxploitation, horror demenziale). Cinema che si nutre di cinema.
L’episodio di O-Ren è realizzato come un cartoon splatter dalla nipponica Production I. G.
In colonna sonora, un collage di Bacalov, Morricone, Herrmann, Nancy Sinatra e musiche originali di The RZA! Divenuta famosa in tutto il mondo ed immortale.
Esiste anche una versione che riunisce i due volumi, finora inedita in Italia, più esplicita quanto a violenza.

Kagemusha – L’ombra del Guerriero


Giappone, secolo XVI: ucciso durante un assedio, il principe Shingen viene sostituito da un kagemusha (un uomo-ombra, cioè un sosia), un ladro (Tatsuya Nakadai) a cui viene insegnato a comportarsi da re per non togliere entusiasmo alle truppe e ingannare il nemico. Assolto il suo compito e poi smascherato, il kagemusha viene scacciato, ma non riuscirà ad abbandonare l’esercito: calatosi del tutto nel personaggio, morirà per difendere la bandiera dei “suoi” soldati e del “suo” regno.
Amara parabola sull’illusione della vita e la vanità della grandezza umana, il film (prodotto grazie a un finanziamento di Coppola e Lucas e sceneggiato dal regista con Masato Ide) fonde suggestioni derivate dalla letteratura medioevale giapponese e da quella europea (specie Shakespeare) con la lezione di astrattezza del teatro nō, ma stempera parte della sua forza drammatica nella gigantesca complessità produttiva. Proprio il gigantismo delle scene di massa, però sottolinea il fondamentale significato cromatico delle immagini e del colore, che Kurosawa usa simbolicamente e sperimentalmente. Il maggior successo commerciale del regista, tornato a girare nel suo paese dopo dieci anni di assenza. Palma d’oro a Cannes ex aequo con All That Jazz. Esiste una versione di 179′.